FUTURO
Comunità ibride: uno spazio ibrido tra fisico e digitale

Il nostro è un tempo che apre ogni giorno nuovi orizzonti, nuove strade cognitive.

Nessuno sa dove portano, ma c’è una gran voglia di attraversarle  per comprendere la straordinaria euforia di conoscenza che pervade il mondo contemporaneo.

Un mondo dove i confini tra mondo fisico e digitale sono sempre più labili.

Piattaforme ibride che uniscono elementi esistenti con connessioni nuove, integrando il reale con quello virtuale.

Gli intrecci binari di informazioni indissolubilmente connessi alle moderne Smart Cities hanno prodotto nuove realtà al limite del percettibile: spazi non spazi dove, più o meno coraggiosamente, abbiamo imparato a vivere.

Questo spazio non spazio è virtuale, vi si accede tramite tecnologia elettronica ed emancipano sapientemente i nostri cinque sensi. Cortocircuita quello che vediamo con informazioni altre e dati con cui mai, altrimenti, saremmo venuti in contatto.

I nostri occhi sono ormai abituati a guardare rappresentazioni del mondo reale costituite da strutture dati e cumuli di informazioni che rilanciano continuamente un’idea di reale sempre più virtuale e sempre meno fisica.

Lo spazio in cui viviamo diventa così la somma, fino a qualche anno fa non avvicinabile, di tutte le informazioni disponibili. E’ ovvio che l’informazione, per quanto estesa e cavillarmente distribuita, non esaurisce il contenuto di conoscenze del mondo. Né consente uno studio autentico ed esaustivo della realtà che abitiamo.

Ma la domanda è: quale realtà? La realtà vera, individualmente vera e sempre diversa per ognuno di noi, è quella costruita allenando la piccola rete domestica che, accesso dopo accesso, abbiamo messo su nel nostro computer, sul nostro smartphone, sul nostro tablet. Quella è la nostra realtà di riferimento, la nostra metropoli composta solo di flusso. Quella è una realtà aumentata.

E’ un’idea vecchia, in fondo: se ne trovano i primi cenni già durante gli anni quaranta americani. Ma nuova è la sua applicazione al nostro presente, il suo trovarsi ovunque accanto al mondo reale, il suo potersi appoggiare completamente a tecnologie sempre più robuste e raffinate.

Non si tratta di realtà virtuale, non siamo immersi in un enorme videogioco come, più o meno consapevolmente, raccontano gli apocalittici. Nella realtà virtuale le informazioni in più sono la totalità dello spazio navigabile dall’utente. Nella realtà ibrida, invece, l’utente è presente insieme alle sue percezioni ma usufruisce di dati aggiuntivi o manipolati della realtà stessa.

La realtà virtuale non esiste, ha una base reale su cui si riversano una serie di informazioni che regalano una visione arricchita del mondo. La mediazione di questi dati avviene solitamente in tempo reale e mette in crisi il concetto stesso di spazio: il nostro modo ultrasensoriale di attraversare le cose ha fatto in modo che non esista più una versione assoluta degli spazi che vivo. Ognuno di noi è in grado di personalizzare lo sguardo che ha sul suo mondo grazie ai flussi di dati e alla realtà ibrida.

Così la realtà perde la sua veste universale e cambia al cambiare di un valore, di un’impostazione. Si modella, cioè, sulle esigenze degli utenti che la sperimentano e vivono. Ogni persona, grazie al suo bagaglio culturale e al suo background formativo, potrà, selezionando via via informazioni sempre più mirate, fondare la propria realtà in cui vivere.

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